Reggio Calabria è la città dei Bronzi, due bellissime opere d’arte greche ritrovate nel 1972 nei fondali di Riace Marina. Raffigurazioni di due guerrieri, uno giovane e l’altro meno, che i calabresi ricordano anche nell’animazione di qualche tempo fa per uno spot che pubblicizzava la Calabria. Io me li sarei anche immaginati, i Bronzi, al bancone del brewpub di Angelo e Domenico Oliveri e Delfio Carroccio, a bere ognuno la birra che prende il proprio nome, Tideo e Anfiarao, per poi uscirne, se non proprio sbronzi, almeno alticci.
Gli Sbronzi, di Reggio Calabria, è un locale ampio, 180 posti, dove di birra ne scorre tanta, 3000 litri consumati al mese, prodotta con un piccolo impianto da 250 litri dal birraio
Demetrio Crea.
Il tutto ha inizio nell’aprile del 2016, rilevando un locale esistente da ottobre del 2014.
Demetrio sta trovando anche il tempo di frequentare il corso AIS per diventare sommelier. La sera della lezione sulle birre che ho tenuto a Reggio Calabria, salutandoci alle 23.00 circa, mi disse “sto andando a divertirmi”, riferendosi alla cotta che gli avrebbe impegnato tutta la notte. Ancora non avevo assaggiato le sue birre ma ebbi l’impressione che tutta questa passione non poteva non portare che ad un buon prodotto, e non mi sbagliavo.
Lo spazio per la produzione è piccolo ma ben organizzato, dà il senso di pulizia e di metodicità nel lavoro. Le ricette sono sempre a portata di mano, tutte a vista, senza nessun problema a farle ‘sbirciare’, sapendo, da bravo birraio, che la differenza la fa sempre l’artigiano. Per ogni birra non si fa problemi a elencare tutti i malti, i luppoli usati, i lieviti. Insomma uno che sa il fatto suo.
Quattro le birre prodotte con acqua non modificata, ci tiene Demetrio a dirmi: un modo per fare terroir.
Pandora, una Golden Ale da 4.9 gradi alcolici, la loro bionda di punta. Due malti, Pilsner e Maris Otter, EKG come luppolo. Due settimane dalla cotta all’infustamento. Bel corpo, poco gasata, schiuma persistente, non molto amara, luppolo erbaceo, terroso, bella nota di malto.
Kairos, una Saison da 6.5 gradi alcolici, con frumento, vienna, segale, pilsner, jermano (segale di cui
abbiamo parlato qualche tempo fa in un
articolo sul pane di Canolo) e scorza di bergamotto raccolto al tempo giusto di maturazione (
kairos vuol dire proprio ‘al tempo giusto’) e congelata, utilizzata poi gli ultimi dieci minuti di bollitura. Naso fresco, di bergamotto, floreale, speziata. In bocca setosa, pulita, finale agrumato. Birra da grande bevute, appagante.
Tideo, una IPA da 7.2 gradi alcolici, luppoli della Nuova Zelanda, bocca con un attacco dolce che sparisce subito per dare spazio a 45 IBU di amaro che si siedono in bocca e non ti lasciano, trattenendo sotto braccio un biscottato che bilancia benissimo. La mia preferita.
Anfiarao, una belgian strong ale, da combattimento, con i suoi 8 gradi alcolici e non sentirli. Fruttata, albicocca, prugna, speziata, leggermente bananosa. In bocca equilibrata, pepato che persiste, con un bel finale fruttato, bocca pulita grazie ad una giusta acidità.
E con questa arriva sul bancone, in abbinamento, un fantastico babà di Domenico Malara, in cucina quel giorno per esperimenti gastronomici.
Ma non finisce qui, in preparazione, e quindi pronte ad un mio ritorno, una Weiss e una Schotch Ale, quest’ultima assaggiata dal fermentatore, e già promette bene.
Volendo dare un giudizio complessivo… Birre non estreme, equilibrate, di quelle che non ti deludono, una garanzia nella bevuta. Nessuna giostra, nessuna ‘estrosità’. Birre serie insomma, che non seguono mode del momento ma che fra qualche anno saranno ancora li, a divertirti e farti star bene.