Cantillon produce birre a fermentazione spontanea, con le sue gradevoli sensazioni acide che appongono la firma a questa birra.
Birre che i neofiti assaporano con incredulità chiedendosi come mai dovrebbe essere buona, altri la capiscono subito, altri ancora l’apprezzano dopo un po’ di tempo.
Il giorno della nostra visita a Cantillon coincide con la cotta pubblica (Brassin Public) durante la quale i visitatori possono assistere alle fasi di produzione del Lambic (il Lambic, maschile, e la Geuze, femminile, ci corregge Kuaska). I lavori iniziano alle 6.30 con l’ammostamento e finiscono alle 15.30 con il pompaggio del mosto nella vasca di raffreddamento.
Si inizia il tour al piano terra, dove si trova il tino d’ammostamento. Noi arriviamo nella fase di filtrazione, verso le 9.30, e possiamo assaggiare, offertoci da Jean Van Roy, il mosto filtrato caldo mentre viene pompato, al primo piano, nel tino di bollitura dove diamo una mano nella luppolatura con luppolo invecchiato (suranné). Saliamo quindi al secondo piano dove troviamo la vasca di raffreddamento, una vasca molto ampia e profonda un 40 cm, dove il mosto sarà pompato nel pomeriggio, dopo la lunga bollitura, e dove resterà tutta la notte a raffreddare e inocularsi di lieviti e batteri naturalmente presenti nell’aria di Bruxelles e, soprattutto, nella birreria Cantillon. Il mattino seguente il mosto verrà travasato in una vasca d’acciaio per decantare e poi messo, il giorno dopo ancora, in tonneau di legno dove inizierà il suo lungo viaggio fermentativo per diventare dopo circa 3 anni Lambic.
Visitare Cantillon è fare un viaggio nel tempo, molto è come tanti anni fa, quando, nel 1937, dopo 37 anni di assemblaggio di Geuze, inizia la propria produzione di Lambic. Il birrificio è, e non poteva essere altrimenti, dal 1978 anche un museo (Musée Bruxellois de la Gueuze – Brussels Museum van de Geuze).
Concluso il tour delle fasi produttive, la concentrazione si sposta sulle degustazioni.
La curiosità iniziale è sul Faro, bevanda di pochi gradi alcolici preparata al momento, di cui Kuaska ci svela la ricetta e ci mette in guardia sul fatto che non può esistere il Faro in bottiglia:
- Lambic non di qualità (con qualche puzzetta)
- Acqua
- Birra di risciacquo di trebbie (Biere de Mars belga)
- Zucchero candito
ll Faro rivela già al naso una dolcezza che l’accompagna fino in bocca per chiudere comunque con una leggera nota fresca che la rende equilibrata e piacevolmente beverina. Bevanda da fuori pasto da bere a piene sorsate per la sua godibilità.
Si passa poi a degustare Lambic, Geuze (blend di 50% Lambic di un anno, 25% Lambic di 2 anni, e 25% di Lambic di 3 anni, all’ imbottigliamento viene messo del Lambic giovane che contiene zucchero per la rifermentazione), Manouche (progetto Zwanze, utilizzo di sambuco), Cuvée Saint-Gilloise. La curiosità sta nel capire quanto diversa sia la bevuta in bottiglia e quella alla spina, dalle brocche in terracotta dalle quali versano nei bicchieri. La differenza si fa subito sentire già al naso. Gli odori acidi sono nettamente più delicati, morbidi, con l’immancabile corredo vinoso, fruttato, a volte metallico e di carte vecchie (quest’ultimo sentore è copyright di Kuaska ☺). In bocca l’acido è giocato più sulle note lattiche che acetiche, l’equilibrio è fantastico, il finale secco e con una piacevole persistenza di freschezza e pulizia.
Il pomeriggio invece è d’obbligo dedicarlo ad un giro per la città di Bruxelles, intervallando la visita della Grand Place, del Mannaken Pis e del museo Magritte con una bevuta al Delirium Café (Triple di La Rulles), Poechenellekelder (Hercule Stout di Ellezelloise e Brusseleir Zwet IPA di Brasserie de la Senne) e Moeder Lambic (Band Of Brothers di Brasserie de la Senne).
Il giorno successivo destinazione Westvleteren, convento di Saint Sixtus, dove si produce l’omonima birra riconosciuta dal sito RateBeer come la birra più buona al mondo e da allora meta di tantissimi pellegrini/amanti della birra.