Beavertown Extravaganza 2017

Ecco il primo (speriamo di una lunga serie) articolo del nostro amico Daniel D’Alù, Homebrewer e beer hunter con la passione per la buona cucina e, naturalmente, il buon bere. Personaggio di cui sentiremo presto parlare alle nostre latitudini birrarie. Nella foto (da sinistra) Valter Loverier, Mike Murphy e Daniel D’Alù.

 

Lo scorso settembre, più precisamente 8 e 9, si è svolta la prima edizione del Beavertown Extravaganza, festival organizzato dall’omonimo birrificio londinese. Ormai diventato uno dei produttori di spicco della new wave britannica, il birrificio di Logan Plant ( figlio del celebre Robert Plant) si è lanciato nell’organizzazione di un festival. E date le peculiarità di Beavertown, non  poteva di certo essere un festival con un’offerta banale. I biglietti sono andati sold out in poco tempo. La formula del festival prevedeva l’acquisto di un biglietto (circa 60 euro) che garantiva l’accesso al festival, il bicchiere dell’evento, e bevute illimitate all’interno. Erano presenti 77 produttori, con oltre 380 tra birre, sidri e idromele alle spine in ognuno dei due giorni, con un’ampia offerta food.

L’evento si è svolto al Printworks di Londra, una ex stamperia ora adibita a location per eventi e concerti nella zona sud-est di Londra, agilmente raggiungibile con la metropolitana.

Da bravo geek, sono arrivato con un buon anticipo ma la folla era già in trepidante attesa per l’ingresso. Si è svolto tutto in tranquillità, tantissimi giovani, atmosfera gioviale e bella musica in sottofondo hanno aiutato, insieme alle birre bevute, a far letteralmente volare le ore passate all’Extravaganza.

Ma ora veniamo alle birre. Ho approfittato dell’occasione per provare principalmente le produzioni dei birrifici d’oltreoceano, come Other Half, Side Project, J. Wakefield, Sante Adairius e altri ancora. Ma non solo USA, ho provato anche diverse birre dal vecchio continente, principalmente UK e Belgio, e una novità del ‘nostro Loverbeer.

Di tutte le tante birre provate (responsabilmente?) due in particolare mi hanno colpito, entrambe di J. Wakefield Brewing (Miami): la 6ix days in Dade, una gose da 7% abv con guava e pesche dalla grande bevibilità nonostante la gradazione non propriamente irrisoria; e la Voodoo Woman, una imperial stout da 15% abv passata in botti di rum caraibico con l’aggiunta di mandorle e cocco, intensa, ricca e profonda. Nonostante l’elevata gradazione si beveva addirittura con una certa facilità. Avevo già avuto modo, in altre occasioni, di provare altre birre di J. Wakefield e si conferma un produttore di altissimo livello. Particolarmente degno di note è l’utilizzo magistrale della frutta in alcune sue produzioni.

A leggere questo breve report sembra sia stato tutto fantastico, ma a dire il vero ci sono state alcune cose che non andavano, vediamo quali.

  • ovviamente ci sono state anche alcune birre non esattamente in forma, se non addirittura dei flop.
  • file lunghissime per i birrifici con moltissimo hype che ostruivano addirittura il passaggio
  • posizionamento poco strategico dei posti a sedere
  • molti birrifici (quelli da super hype) verso le 18 avevano già finito la birra
  • sistema di approvvigionamento acqua per risciacquo bicchiere o per bere a dir poco scomodo (in pratica delle cisterne che venivano continuamente riempite) e conseguente allagamento perenne dell’area intorno alle cisterne

Mi auguro che per la prossima edizione risolvano questi problemi, si quello dell’acqua, ma soprattutto quello del precoce esaurimento della birra. Non è accettabile che la birra finisca dopo appena 3 ore dall’inizio dell’evento, soprattutto quando fai pagare un biglietto non poco e sai quanti ne hai venduti, essendo andati sold out mesi prima dell’evento.

Ad ogni modo è stato un bell’evento.

Ora pensiamo alle bevute che faremo all’Eurhop 2017.

Cheers!

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