Maccarruni calavrisi

Maccarruni calavrisi

Cosa sono i maccarruni calavrisi

Quando si parla di maccarruni calavrisi, ci si riferisce alla ‘pasta i casa‘ tipica della Calabria. ‘Fusiddi, rizzi i fimmina, fileja, ferriettu, cannici’ tutti modi per definire, tra i formati di pasta, quelli che vengono lavorati al ferretto. Partendo da una massa composta da semola di grano duro e acqua ‘a quannu si ne pigghia‘, si lavora affinché diventi un impasto liscio, elastico e non appiccicoso. Si suddivide in ‘gghiommari,’ cordoncini di pasta senza forma, che vengono lavorati uno a uno al ferretto, per dargli la forma dei vari tipi di maccarruni.

Quali sono gli strumenti di lavoro

Lo strumento tradizionale per formare ‘a pasta i casa bucata’, è il ferretto. Solitamente si utilizzano oggetti poveri e di uso comune. Il primo fra tutti e di facile reperimento è il ramoscello del salice piangente, dal caratteristico rumore tac tac tac, dato dallo sfregamento durante l’utilizzo sul piano di lavoro. Molto più spesso ‘u ferriettu’ può essere il ferro che si utilizza per lavorare a maglia, privo del finale a testa di chiodo. Un tempo, venivano impiegati anche lo stelo della spiga ‘cannice’, uno dei raggi della ruota della bicicletta, oppure a sezione quadrata, quello di un ombrello. Tuttavia, oggi si può tranquillamente utilizzare lo stecco, lungo e sottile, di un comune spiedo di bambù o di legno.

Come si cuociono i maccarruni calavrisi

A pasta i casa‘ di semola di grano duro, tradizionale fresca, non prevede l’utilizzo delle uova. Per questo motivo la massa e i formati che ne derivano, devono essere tenaci e fatti asciugare qualche ora, prima della cottura in acqua bollente. Per mantenere la forma ed evitare che i ‘maccarruni’ lunghi si spezzino, bisogna rimescolarli delicatamente, soprattutto all’inizio della cottura. Possono bastare un paio di giri di mestolo per non farla attaccare sul fondo della pentola.

Maccarruni aru firriettu e rizzi i fimmina
Maccarruni aru firriettu e rizzi i fimmina
https://www.facebook.com/fattidisemola/

Come condire i maccarruni calavrisi pasta i casa

Come tutta ‘a pasta i casa‘ fresca, tradizione vuole che deve essere scolata con ‘il callo’, e ben sgrondata posata nel piatto di servizio. A questa è aggiunto, a copertura, l’intingolo preparato in precedenza, per condimento. Una generosa mantecata e i ‘maccarruni calavrisi’ sono pronti per essere con abbondanza porzionati. Che dire, ‘ara tavula!

Cassetedde irresistibili una tira l’altra

Esiste da sempre una correlazione tra Calabria e Sicilia per innumerevoli motivi. Uno fra i tanti lo ritrovo in un dolce tipico dell’una e dell’altra regione. Ciò che mi sorprende però, è che accomuna la punta estrema occidentale della Sicilia e cioè Trapani, con il nord della Calabria e cioè Cosenza. In particolare per quanto riguarda me, Marano Marchesato. Sia qui che lì infatti è in uso il termine dialettale cassetedda, per identificare un delizioso fagottino, ripieno di ricotta con a volte cioccolato. Ciascuna delle due tipicità, conserva e tramanda la propria ricetta e il proprio ripieno, che non si differenziano un granché tra loro. Mentre, per quanto riguarda la cottura, essendo dolci per il periodo che va dal Carnevale alla Pasqua, passano agevolmente dall’essere fritti, all’essere infornati.

Cassetedda ritrovata

Armata di curiosità e pazienza, sono andata a caccia della storia e della ricetta della mia famiglia, e le ho preparate. Mia nonna materna, così il racconto di mia madre, oltre che per le feste, le preparava per la merenda, quella più ricca o per il pranzo domenicale. Ma ciò che ho recuperato dalla sua memoria, sono i tagli e la forma particolare delle loro, e anche delle mie, cassetedde.

Come preparare le cassetedde

Cassetedde irresistibili una tira l'altra
Cassetedda tonda, nella sua forma originaria in uso a Marano Marchesato, e a forma di mezzaluna.

Pochi gli ingredienti, per la sfoglia, uova, zucchero al velo, burro, liquore all’anice e farina. Lo stesso per il ripieno, ricotta, zucchero, scorza di limone grattugiata, e facoltativo, scaglie di cioccolato. Ma per come è vivo anche il mio ricordo, ottime con la mustarda calabrese.

Ammassati gli ingredienti e formato sul ‘timpagnu’ un panetto liscio e non appiccicoso, si tira la sfoglia, e con il bordo di un bicchiere, si ritaglia a cerchi. Ogni pezzo, farcito con il ripieno scelto, viene chiuso a forma di mezza luna, sigillando i bordi e ripassandoli con i rebbi di una forchetta.

Cassetedde irresistibili una tira l’altra.

Si friggono in olio profondo, io utilizzo quello d’oliva, si asciugano su carta paglia, e in un piatto di servizio si spolverano con zucchero al velo e cannella, ‘a gusto’. ‘A fagurire’.

Pani e uogliu extravergine d’oliva

Quando ho frequentato i corsi per essere poi degustatrice ufficiale degli oli vergini ed extravergini d’oliva, ho imparato tantissime cose, che ovviamente ignoravo, ma che ho sempre, e innatamente, desiderato conoscere.

Caratteristiche dell’olio vergine d’oliva

Ho scoperto così, che di tutti e cinque i sensi gliene manca uno, la vista, se consideriamo il sentire non specificatamente legato all’udire. Le sue caratteristiche, definite attributi positivi, riguardano l’olfatto, il gusto, il tatto, inteso come consistenza, e il sentire inteso come percezione. Per chiarirmi le idee e smettere di andare alla cieca, ho deciso di formarmi.

Difetti e attributi positivi dell’olio vergine d’oliva

Pani e uagliu extravergine d'oliva. Dettaglio del bicchiere per l'assaggio dell'olio d'oliva, blu cobalto.
Bicchiere di assaggio dell’olio d’oliva, blu cobalto.

Ciò che si prende in considerazione per l’assaggio, nella scheda di profilo dell’olio di oliva vergine, sono i difetti: il rancido, la muffa, il riscaldo, l’avvinato e altri attributi negativi. Per gli attributi positivi, si prendono in considerazione: il fruttato, l’amaro e il piccante. Tutti su una scala di valori di intensità che va all’uno al dieci. Per quanto riguarda il colore, questi viene occultato, non rientra né nei difetti, né nei pregi di un olio d’oliva vergine. L’assaggio, avviene con una certa quantità di olio, in un bicchierino blu cobalto, per non far intravedere il suo colore.

.

L’olio extravergine d’oliva

Ho faticato molto, a riconoscere i difetti ai quali ero purtroppo abituata, sia degli oli artigianali che di quelli industriali. Mandando giù oli con tali difetti, da bere poi sorsate di extravergini per rifarmi stomaco e bocca. Ho potuto apprezzare pregi olfattivi e degustativi che gli oli d’oliva extravergini calabresi hanno da offrire. Ce ne sono di ottimi, che non hanno nulla da temere rispetto a quelli nazionali (spesso integrati da partite di oli d’oliva extravergini calabresi), e mediterranei.

Pani e uogliu extravergine d’oliva

Ora è un rito, quando apro un nuovo contenitore, tolgo via il tappo, e ne prendo un bel respiro. Ed ecco uno dei miei spuntini preferiti, pani caldo appena sfornato e uogliu extravergine d’oliva, così da sprigionare tutte le sue qualità e proprietà. Poi aggiungo una sbriciolata di origano, qualche granello di sale, e na stricata i piparieddu vruscenti.

Che dite, vi ho messo la pulce nell’orecchio? Spero proprio di si. Ne continueremo a parlare. Viva, viva l’olio d’oliva!

Cacioffuli e patane a ra tijella

La cucina tradizionale calabrese presenta, inaspettatamente ai più, diversi piatti vegetariani se non addirittura vegani. Come ad esempio, a casa di mia madre, un classico della cucina invernale sono i cacioffuli e patane a ra tijella. Alla prima raccolta dei carciofi nostrani.

Tijella di cacioffuli e patane

L’invitante crosta dorata, a copertura dei cremosi strati alternati, dei carciofi e delle patate, per una preparazione ricercata e rustica allo stesso tempo. Di sicuro successo, che ben si presta sia per una cena, sia per una gita fuori porta, e perché no, per un ottimo pranzo in ufficio.

Cacioffuli e patane

Si procede così: tolte le brattee esterne, più coriacee e le eventuali spine ai primi e pelate le seconde, tagliare entrambi a fette, e sistemarle in un tegame con un po’ d’acqua e olio extravergine d’oliva sul fondo. Insaporire gli strati alternati con mollica di pane arriganata, pecorino grattugiato, caciocavallo a pezzetti, un trito d’aglio e prezzemolo, sale e generosi giri d’olio extravergine d’oliva fresco.

Appena pronta, infornare lasciando sobbollire fino al termine della cottura, e finché la crosta sia ben colorita. Tempi e temperatura, come tradizione insegna, dipendono dalla grandezza da tijella e dalla quantità degli ingredienti, ma entrambi quanto bastano affinché si spanda n’addurinu!

Fior ‘i maju e Birra Savuco

Cappelli del prete realizzati con semola integrale e acqua e tirati a mano, come migliore tradizione calabrese vuole. Vengono sbianchiti prima e arrostiti poi, per sottolineare il doppio passaggio della Birra Savuco di Maltonauta dal fermentatore alla botte che ha contenuto il vino Vigna Savuco di Serracavallo. L’idea è di restituire i colori e la consistenza della birra, la ruvidezza delle doghe e del tempo trascorso, prendendo spunto dal fiore di sambuco dal quale entrambi i prodotti prendono il nome. La farcia è un composto di seitan con erbe aromatiche mediterranee, sfumata con la birra Savuco e spolverata di fiori e polline di sambuco. La salsa di mandorla areata, con il fiore di sambuco in infusione, da l’idea di schiuma nel bicchiere, mentre la riduzione di birra lucida e chiude il cappello croccante che, insieme al finocchietto selvatico e alle lamelle di mandorla tostata, danno lo sprint e il giusto equilibrio al piatto.

Pane, trebbie e fantasia

Il tutto parte dallo ‘stappo’ di una Westvleteren 8 comprata in un mio viaggio in Belgio con Kuaska, nel 2015, del quale ho parlato in questo articolo. Appartenendo io alla schiera delle persone che non ama versare il lievito nel bicchiere, l’ho riutilizzato per un impasto con farina per creare uno starter di lievito madre.
Intanto avendo in questo periodo tempo a disposizione, e dopo un consulto familiare, abbiamo dedicato un sabato a brassare una birra di Natale in casa. Da lì l’idea di prendere un po’ di quelle trebbie, utilizzare il lievito di prima, e preparare dei panini.
Ma come farcirli? A questo ci ha pensato naturalmente Giulia Secreti, partendo dall’idea di utilizzare del seitan aromatico home made e aggiungendo patate mpacchiuse, asparagi selvatici, cicoria selvatica, EVO amaro e piccante intenso del Frantoio Gagliardi, chips di rapa rossa, caciocavallo fondente, funghi porcini, tahin e salsa di soia.

Drake Maltonauta

Ma cosa berci? In abbinamento ho voluto continuare a giocare in casa, con la mia nuova creatura, la Drake, una Extra Special Bitter di Maltonauta. Birra che avendo imbottiagliato da poco è quella più presente nel mio frigo :-).
Ambrata, con odori nocciolati e leggera speziatura, in bocca equilibrata con un corpo medio e un buon finale che ha retto benissimo il panino.

E ora, considerando ancora il molto tempo da poterci dedicare…
Ritorniamo a progettare.

Sua Maestà la Pitta Mpigliata

C’era una volta un dolce tipico, e tutt’ora unico c’è. Una meraviglia per gli occhi e per il palato. Una maestà, per banchetti nuziali e tavole preziosamente apparecchiate, il cui luogo d’origine è San Giovanni in Fiore. Non esiste una mezza misura: “o piace o non piace”, ne ho sentito con fermezza dire, e di fatto è così, ma sono certa che la versione originale-tradizionale di casa mia piace, eccome se piace!

Pitta MpigliataLaborioso, paziente e attento rituale, nato per le festività della Pasqua, divenne simbolo di quelle del Natale, e suggello di antichi matrimoni.  Menzionato nei contratti di nozze, come dote della sposa, da offrire in quantità stabilite agli ospiti a fine pranzo nuziale. Una sfoglia sottile, questa l’intraprendenza, per un ricco ripieno di frutta secca: noci e mandorle in egual misura tagliuzzate, impreziosita da miele, uvetta e scorza d’arancia, profumata con liquori da credenza, poi zucchero, intingoli e spezie varie, a ricordare approdi di navi e di Magna Grecia insediamenti.

Questa la storia: la suocera di mia madre, maestra di scuola elementare, era restia a insegnarle la “pizza mpigliata”, perché gelosa della ricetta e del suo confezionamento. Un giorno mia nonna paterna se ne andò anticipatamente senza preavviso per un malore improvviso, e di quella ricetta non se ne seppe più niente. Negli anni a seguire la mia prozia, maestra anche lei, continuò a preparare in segretezza questo dolce tradizionale. Una anno, mia madre ne fece assaggiare una sottobanco a parenti e amici commensali, a fine pranzo del giorno di Natale. Tra un giro e l’altro della spirale, di mano in mano spezzettata, e molto apprezzata, la pitta arrivò anche nel piatto della prozia che, abbassando gli occhiali lanciò un paio di acute occhiate e pronunziò “ma chi ha fatto questa pizza mpigliata?”. Ora, bisogna essere di San Giovanni in Fiore o di Santa Severina per averne impresso il tono e l’intonazione, e benché mia mamma non sia né dell’uno né dell’altro paese, ironicamente lo imita alla perfezione.

Questo il fatto: nonostante fosse chiamata ogni anno dalle due donne per aiutare, era  volontariamente estromessa dalle arcaiche misture e movimenti, da una danza del volgerle le spalle ad ogni segreto ingrediente. Ma lei furba e a insaputa delle perpetue sorelle, una di quelle volte annotò su un foglietto, con andirivieni dalla stanza accanto, ciò che sbirciava, captava e teneva a mente, e così in quel riparo immortalò quei gesti e quei dosaggi occultati. Da quella notte dei tempi, e da mezzo secolo in qua, per il buon augurio del Natale, a occhio, a manate, a dita e bicchieri, mia mamma ammassa, stende, sparge, arrotola, merletta, cuoce e adorna con maestria quella rubata e unica dose della Pitta ‘Mpigliata.

Così, per la vigilia del Natale, del Capodanno e dell’Epifania, finanche per il Ferragosto ben custodita, è il dolce più prezioso di casa mia; e benché ora io ne sia la depositaria, ché anno dopo anno insieme a lei, osservandola, sotto la sua guida faccio: ho facoltà sì “da preparari, ma nun di va potiri mparari, pecchì sulu a figliama, a notte i Natali a puozzu tramandari”.

La Varchiglia e il Corso di mezzo

Più e più volte, quasi all’infinito, mi sono arrampicata su per Corso Telesio, che divide e corre a metà e in mezzo, nella storica e vecchia città, di età e di aspetto. Un’opera al Teatro Rendano, una ricerca alla Bibblioteca Nazionale, una conferenza alla Casa delle Culture, una mostra al Museo del Fumetto. Foss’anche solo per una mera passeggiata tra mura acquarellate che stringono la volta del cielo e sampietrini che echeggiano di antiche carrozze e di lontani scalpitii. Continue “La Varchiglia e il Corso di mezzo”

Bark
Beer&BBQ

Presentiamoli subito, Daniel D’Alù e Alice Agostino. “Nice to meet you”. Si, è proprio il caso di dirlo. Perché al Bark i piatti parlano inglese, americano per la precisione. Beer & bbq recita il claim del locale di Gioiosa Ionica (RC), aperto da pochi mesi.

Tutto ruota intorno ad un imponente affumicatore in perfetto stile americano dove cuociono, sotto il diretto controllo di Daniel, con la tecnica ‘Low and Slow American Style’, grossi tagli di carne trattati precedentemente con spezie (dry rub). Cotture tramite affumicatura quindi, con fumo di legna (quello di ciliegio al momento il preferito al Bark) e carbone. La combustione, ci spiega Daniel, crea del fumo aromatico che si deposita sulla parte esterna della carne conferendogli un colore scuro; poi con il calore, mai superiore ai 130 °C, diventa croccante fino ad assomigliare alla corteccia (in inglese bark) di un albero. Si ottiene una texture della pietanza unica, simile a quella delle cotture a basse temperatura, ma con in più il profilo aromatico dell’affumicatura. Continue “Bark
Beer&BBQ”

Musa di Calabria
La Nicchia di Cassandra
Made in Mammola

Io ce la vedo Alessandra Ieraci, chef di La Nicchia di Cassandra, nelle sue vite passate e in quelle future a destreggiarsi, con tutte le influenze linguistiche, che caratterizzano il dialetto tipico della città, che vive e che abita. Benvenuti a Mammola recita il grande cartello all’inizio del paese, un insediamento risalente al V sec. a. C. il cui significato (fanciulla, donzella, dal greco antico) per traslato rimanda a colline, alture; incastonata com’è, tra la catena montuosa dell’Aspromonte e quella delle Serre calabresi. Continue “Musa di Calabria
La Nicchia di Cassandra
Made in Mammola”