Eurhop 2015
A poche settimane da Fermentazioni 2015, ci tuffiamo in Eurhop 2015. Paragoni non se ne possono fare: l’impianto è diverso ed è molto bello che sia così. La personalità innanzi tutto, come quella che professiamo e auspichiamo nelle birre artigianali.
Ad Eurhop non sembra essere ad un ‘semplice’ festival, sembra più di essere in un pub, con dei lunghi banconi e un’infinità di spine. Se poi ti raggiungono anche un po’ di amici e stai fuori sotto un bel sole domenicale di ottobre diventa tutto perfetto.
Il livello è come negli scorsi anni, sempre alto, la selezione delle birre da brivido. Anche qui vige il mantra “Non puoi assaggiarle tutte. Non puoi assaggiarle tutte” e se lo dice anche l’organizzazione, evidentemente non è cosi’ scontato che, ci siano persone che possano farsi balenare l’idea che possano davvero provare a berle tutte.
Per chi vuole, come me, avere l’opportunità di non sentirsi spinto in una spirale di bevute compulsive, è bello arrivare poco dopo l’apertura (ero lì un minuto dopo). L’atmosfera è molto rilassata: ancora poche persone, molte sedute ai divani a leggere la guida per una ipotesi di percorso di bevute e ritornare per appuntarsi qualche nota di assaggio con il bicchiere con la birra scelta.
Oltre ai birrifici, Manuele Colonna (presto la sua intervista video) ha invitato anche alcuni fra i pub migliori d’Europa che si sono portati i loro fusti migliori, frutto di una selezione personale. Moeder Lambic (da Bruxelles), Oliver Twist (da Stoccolma), Tribaun Bar (da Innsbruck). Da quest’ultimo ho assaggiato la Miyamoto di Craft Country, una Japanese Pale Ale realizzata usando luppoli giapponesi (che danno un sentore di cocco) e polvere di corallo che da in bocca un sentore stranamente setoso accompagnato da interessanti note salmastre che lasciano una bocca piena e con una lunga persistenza.
Dal tardo pomeriggio non poteva mancare il tradizionale intervento di Lorenzo ‘Kuaska’ Dabove (pubblicheremo anche la sua intervista video), con la presentazione di birre e birrai, anedotti, curiosità che ci ricordano che le birre non sono solo una bevuta, ma sono persone, tradizione, storie, sacrifici, divertimento.
Parlando, infine, di un aspetto prettamente tecnico, ho apprezzato molto, anche quest’anno, il sistema di pulizia dei bicchieri che denota l’attenzione che si pone ad una buona bevuta partendo da un bicchiere ben pulito e sanificato. A volte capita di dover pulire i bicchieri sotto l’acqua corrente di un lavabo.
Tanto ancora ci sarebbe da raccontare. Ma prendiamo fiato. Beviamo qualcosa. Stappiamoci magari una Polska di Amiata, 100% frumento maltato, bella luppolatura con leggeri sentori di affumicato, in bocca piena ed equilibrata, birra beverina. Oppure una Polock BRQ Lamponi, ispirata anche lei alle birre polacche, reinterpretata magistralmente da Agostino Arioli del Birrificio Italiano, fresca, gradazione da session, di bevuta lunga, facile, piacevole, pericolosa, giocata su un’altalena di acido e dolce che ti senti il vento nella barba. Rosé de Grambrinus di Cantillon, giusto per avere una rassicuramente bevuta come quando vai in giro con la scorta di uno schnauzer, ricordandomi le bevute direttamente in birrificio a Bruxelles quando ho scoperto un’acidità diversa da quella che la bottiglia non potrà renderti purtroppo, morbida, più delicata, gentile. Tisane IPA di CR/AK Brewery, prodotto utilizzando un Nelson Sauvin discreto al naso, che sostiene una bel bouquet di frutti, fiori, radici infuse nella birra. E finisco con una Piedi Neri di Croce di Malto, una imperial stout con riso venere e castagne, poderosa già al naso, sontuosa in bocca, con tutto il sano profilo tostato che non ti delude.
Ma sono tante le birre ancora da raccontarvi. E allora… alla prossima.
(Le foto nel corpo dell’articolo sono di Nicolás Hafele)