Belgian Tour con Lorenzo “Kuaska” Dabove
[articolo apparso nel 2014 sul sito di AIS Calabria]
Fra le dieci cose da fare nella vita, ogni amante della birra, deve includere, pena grande pentimento, almeno un viaggio in Belgio con Lorenzo “Kuaska” Dabove.
No che un viaggio in Belgio basti, ma un viaggio in Belgio con Kuaska, di anche soli tre giorni, ti dà una benefica sensazione di dissetamento che ti fa ritornare a casa, anche se con dispiacere, con un bel bagaglio culturale, oltre che di birre in valigia (che poi te la perdano facendo scalo a Roma è un’altra storia).
Andare in giro per il Belgio con Kuaska è come andare in giro con un belga che parla benissimo italiano.
Non si devono superare difficoltà linguistiche e ci si interfaccia con una persona che ti può nominare tutte le strade di Bruxelles, e non solo, a memoria. Pronto a raccontarti aneddoti per ogni via che incontra, per ogni uscita autostradale che non imbocca, anche per ogni insegna di birrificio chiuso da anni.
Le tappe di questo viaggio hanno dato l’opportunità di tuffarsi nel passato, respirare il presente e percepire il futuro prossimo della scena brassicola del paese.
Il kick-off del tour è a cena nel famoso ristorante Restobieres di Alain Fayt, dove quasi tutti i piatti includono la birra come ingrediente. Fra paté con Rochefort, foie gras, stinco d’agnello, puré e dolce al cucchiaio con frutti della passione, si assaggiano l’ottima Poperings Hommel Bier di Browerij Van Eeche, la pregevole IV Saison di Jandrain-Jandreouille, l’inusuale birra d’abbazia Guldenberg di De Ranke e una discreta La Rouge Croix di Brasserie de la Lesse.
Il primo birrificio che visitiamo è la seconda casa di Kuaska, la Brasserie Cantillon.
Cantillon produce birre a fermentazione spontanea, con le sue gradevoli sensazioni acide che appongono la firma a questa birra.
Birre che i neofiti assaporano con incredulità chiedendosi come mai dovrebbe essere buona, altri la capiscono subito, altri ancora l’apprezzano dopo un po’ di tempo.
Il giorno della nostra visita a Cantillon coincide con la cotta pubblica (Brassin Public) durante la quale i visitatori possono assistere alle fasi di produzione del Lambic (il Lambic, maschile, e la Geuze, femminile, ci corregge Kuaska). I lavori iniziano alle 6.30 con l’ammostamento e finiscono alle 15.30 con il pompaggio del mosto nella vasca di raffreddamento.
Si inizia il tour al piano terra, dove si trova il tino d’ammostamento. Noi arriviamo nella fase di filtrazione, verso le 9.30, e possiamo assaggiare, offertoci da Jean Van Roy, il mosto filtrato caldo mentre viene pompato, al primo piano, nel tino di bollitura dove diamo una mano nella luppolatura con luppolo invecchiato (suranné). Saliamo quindi al secondo piano dove troviamo la vasca di raffreddamento, una vasca molto ampia e profonda un 40 cm, dove il mosto sarà pompato nel pomeriggio, dopo la lunga bollitura, e dove resterà tutta la notte a raffreddare e inocularsi di lieviti e batteri naturalmente presenti nell’aria di Bruxelles e, soprattutto, nella birreria Cantillon. Il mattino seguente il mosto verrà travasato in una vasca d’acciaio per decantare e poi messo, il giorno dopo ancora, in tonneau di legno dove inizierà il suo lungo viaggio fermentativo per diventare dopo circa 3 anni Lambic.
Visitare Cantillon è fare un viaggio nel tempo, molto è come tanti anni fa, quando, nel 1937, dopo 37 anni di assemblaggio di Geuze, inizia la propria produzione di Lambic. Il birrificio è, e non poteva essere altrimenti, dal 1978 anche un museo (Musée Bruxellois de la Gueuze – Brussels Museum van de Geuze).
Concluso il tour delle fasi produttive, la concentrazione si sposta sulle degustazioni.
La curiosità iniziale è sul Faro, bevanda di pochi gradi alcolici preparata al momento, di cui Kuaska ci svela la ricetta e ci mette in guardia sul fatto che non può esistere il Faro in bottiglia:
- Lambic non di qualità (con qualche puzzetta)
- Acqua
- Birra di risciacquo di trebbie (Biere de Mars belga)
- Zucchero candito
ll Faro rivela già al naso una dolcezza che l’accompagna fino in bocca per chiudere comunque con una leggera nota fresca che la rende equilibrata e piacevolmente beverina. Bevanda da fuori pasto da bere a piene sorsate per la sua godibilità.
Si passa poi a degustare Lambic, Geuze (blend di 50% Lambic di un anno, 25% Lambic di 2 anni, e 25% di Lambic di 3 anni, all’ imbottigliamento viene messo del Lambic giovane che contiene zucchero per la rifermentazione), Manouche (progetto Zwanze, utilizzo di sambuco), Cuvée Saint-Gilloise. La curiosità sta nel capire quanto diversa sia la bevuta in bottiglia e quella alla spina, dalle brocche in terracotta dalle quali versano nei bicchieri. La differenza si fa subito sentire già al naso. Gli odori acidi sono nettamente più delicati, morbidi, con l’immancabile corredo vinoso, fruttato, a volte metallico e di carte vecchie (quest’ultimo sentore è copyright di Kuaska ☺). In bocca l’acido è giocato più sulle note lattiche che acetiche, l’equilibrio è fantastico, il finale secco e con una piacevole persistenza di freschezza e pulizia.
Il pomeriggio invece è d’obbligo dedicarlo ad un giro per la città di Bruxelles, intervallando la visita della Grand Place, del Mannaken Pis e del museo Magritte con una bevuta al Delirium Café (Triple di La Rulles), Poechenellekelder (Hercule Stout di Ellezelloise e Brusseleir Zwet IPA di Brasserie de la Senne) e Moeder Lambic (Band Of Brothers di Brasserie de la Senne).
Il giorno successivo destinazione Westvleteren, convento di Saint Sixtus, dove si produce l’omonima birra riconosciuta dal sito RateBeer come la birra più buona al mondo e da allora meta di tantissimi pellegrini/amanti della birra.
Il convento è ovviamente non accessibile al pubblico, così come l’impianto, per questo la nostra attenzione è indirizzata al ristorante accanto (In de Vrede, Nella pace) dove si possono bere le tre produzioni brassicole: la Westvleteren Blond, la Westvleteren 8 e la Westvleteren 12.
Poco da dire su queste tre birre, sarebbe però eretico non sottolineare anche solo la loro eccezionale beverinità e il poterle accompagnare con piatti che si possono ordinare nel locale, tutti di grande qualità. Quel giorno c’era un’ottima zuppa di cavolfiore con birra trappista, fra gli altri piatti.
Giusto per completare la visita, almeno virtualmente, nella sala del ristorante c’è una gigantografia dell’impianto. Ci deve bastare.
Il pomeriggio è proseguito nel birrificio De Dolle Brewers (I birrai matti). Il nome pare derivi dal fatto che quando andarono, nel 1980, dal commercialista per esporgli la loro idea si sentirono chiamare matti. Evviva i matti!!!
L’abitudine di visite cronometrate, quando si cerca di visitare quanti più birrifici possibili, ci ha dato la possibilità di riscoprire la bella sensazione di un pomeriggio tranquillo. Abbiamo trascorso tre ore abbondanti, rilassanti, di calme bevute. Ci siamo sentiti anche noi del posto, fra amici, a bere qualche buona birra prima di tornare a casa. Per chi è abituato ai nostri birrifici italiani, hi-tech, si rimane affascinati dall’aria retrò che si respira. La sala cottura, l’impianto d’imbottigliamento, la barricaia. Si rimane si affascinati ma anche stupiti. Chi ha mai avuto a che fare in Italia con l’apertura di un esercizio pubblico per la produzione/somministrazione alimentare sa cosa vuol dire in termini di normativa sugli impianti e le opere strutturali da eseguire.
Beh, in Belgio pare che tutto sia molto più rilassato, come dopo aver bevuto un bicchiere di buona Oerbier di De Dolle, le normative sono più ‘umane’, pare si voglia non distrarre l’imprenditore birraio dal suo nobile scopo.
La produzione della birra in casa De Dolle è veramente artigianale, finanche ad arrivare al concetto più intimo legato alla manualità del termine. Qui, più che in ogni altro posto, credo tutti possano respirare un legame strettissimo fra impianto e mastro birraio (Kris Herteleer). Tutto ha una nota caratteristica, di scelte molto personali e a volte legate ad esigenze strutturali. Kris fa gli onori di casa vestito con una giacca con stampato ovunque il logo del birrificio e un papillon rosso a pois bianchi. Il look stride con la sua apparente personalità un po’ schiva, ma poi si dimostrerà persona molto garbata e piacevole. La visita si conclude con un bellissimo fuori programma. Ci vengono aperte le porte della sua barricaia e ci fa assaggiare un po’ di chicche qua e là dalle sue botti. Una Oerbier in botte da un anno, un’altra invece da una botte con una personalità non proprio godibilissima a causa di una forte acidità acetica (da apprezzare la voglia di condividerla con noi), e per finire con una complessa Stille Nacht in botte da marzo 2014. Alla spina, ci sono state offerte una Arabier e una Oerbier, birre incredibilmente beverine nonostante la loro alta gradazione alcolica.
L’ultimo giorno abbiamo raggiunto la Brasserie de la Senne, moderno birrificio che sta contribuendo alla rinascita belga. Ci siamo arrivati dall’albergo a piedi, circa 4 km a caccia di fumetti sui muri esterni delle case. Arrivati in birreria, troviamo Yvan de Baets ad aspettarci, uno dei soci, che ci guida nel mini tour del birrificio, ma, ancor prima, vuole condividere con noi il concept del loro birrificio.
Tre sono i punti fermi intorno ai quali ruota tutta la produzione.
Primo, l’utilizzo di fermentatori primari di forma larga e bassa, in modo che i lieviti, nella parte bassa del contenitore, non subiscano alte pressioni, seguita da una fase di maturazione a bassa temperatura (lagering). Secondo, l’utilizzo dello stesso lievito per tutte le loro produzioni, c’è quindi la volontà di una nota caratterizzante e comune per tutte le produzioni.
Terzo, l’utilizzo di luppoli non belgi, in quanto credono nel concetto di terroir e quindi nel beneficio del territorio e del clima sulle cultivar autoctone della Germania, Inghilterra, Repubblica Ceca e Stati Uniti.
Le birre assaggiate sono Taras Boulba, Zinnerbir, Jambe-de-Bois, Stouterik e la Brusseleir. Birre che danno un ruolo primario al luppolo, con un sentore di lieviti che nella Taras Boulba era più evidente, probabilmente dovuto alla sua giovinezza. Birre tutte beverine, piacevoli, fresche e con un carattere spiccato e rassicurante.
Questo viaggio finisce qui, con il bagaglio appena recuperato e una serata con un problema da affrontare: quale birra assaggiare?
E al mio amico di viaggio Francesco, che leggenda narra possedere più di 2000 etichette di birre da tutto il mondo, dico solo una parola…. Quintessence!!!!!!