Un finale così amaro solo grazie alla buccia delle nostre arance
Articolo uscito il 6 marzo 2017 a firma di Giuseppe Salvatore Grosso Ciponte su Cronache delle Calabrie
La beer firm è un’azienda che non possiede un impianto proprio ma produce la sua birra conto terzi. Definizione che racchiude un mondo vastissimo, come la definizione stessa di birra. Dietro una beer firm può esserci da un homebrewer (chi si fa la birra in casa) che produce la sua ricetta presso un birrificio e poi la vende, fino ad un imprenditore, magari amante della birra, che non ha conoscenze tecniche e si affida totalmente al birraio del contoterzista, spesso fornendogli indicazioni sul profilo organolettico della birra che vuole commercializzare. Nulla di male o di buono se non la birra che si produce, questo dovrebbe essere il metro di valutazione. A volte invece sono nate diatribe feroci che hanno visto schierati i birrifici che ‘amano’ e quelli che ‘odiano’ queste aziende ‘ambulanti’. Addirittura alcuni locali si sono schierati contro le beer firm eliminando dai propri banchi i prodotti ‘incriminati’. Ciò che invece dovrebbe dargli ragione o torto, ai beer firm, dovrebbe essere unicamente la qualità di quello che ci propongono nel bicchiere. Sicuramente è un ambito birrario molto evanescente. Aziende che al primo problema possono chiudere senza perdite eclatanti. Senza la preoccupazione di un investimento da smaltire. E questo potrebbe portare i consumatori ad innamorarsi di birre che dopo qualche tempo non potrebbero più trovare. Oppure a bere birre anonime. O anche ritrovarsi nel bicchiere prodotti improponibili. Ma questo non succede anche con i birrifici? E poi c’è anche da ricordare che molti produttori, oggi anche famosi in Italia, sono potuti crescere e avere ossigeno finanziario grazie alla possibilità di brassare per le ‘famigerate’ beer firm. Aprire un birrificio competitivo oggi ha costi alti. Facendo due conti veloci, si capisce subito che per arrivare ad un guadagno significativo occorre abbattere i costi e per farlo, mantenendo una buona qualità, serve avere un impianto abbastanza grande, fermentatori capienti, magari una etichettatrice e una imbottigliatrice automatica, un furgone per le consegne, un agente e tanto altro. E ancora, c’è da mettere in conto l’inesperienza, l’incertezza. “Ok, partiamo con una beer firm e vediamo che succede!”, si saranno detti in molti.
E sicuramente l’hanno pensato Irene e Claudio dell’azienda Toraldo. Fondata nel 1920 dal bisnonno di Irene Toraldo, che produceva oltre ad agrumi anche energia idroelettrica fornita a San Calogero e Capo Vaticano, fino alla nazionalizzazione del 1962. Oggi l’azienda è totalmente concentrata sulla produzione di agrumi ed è stata una delle prime in Calabria ad essere certificata biologica. Ed è nei suoi cinquantacinque ettari di terreno che si coltivano le arance amare le cui bucce sono utilizzate nella loro birra, Arricriati, prodotta presso il birrificio Limen di Siderno e che si avvale, nella ricetta, dell’esperienza del birraio Nicola Ferrentino. Una birra costruita intorno a due esigenze ben precise. Innanzi tutto utilizzare quanti più ingredienti possibili della nostra regione. E poi realizzare la prima birra certificata biologica calabrese, in linea con la filosofia dell’azienda Toraldo. La cosa non si è rivelata facilissima da ottenere, per la mancanza, strano a dirsi, della disponibilità delle materie prime certificate bio. La parte più difficile è stata trovare il lievito. La ricerca non ha portato ad altra soluzione se non utilizzare un lievito da vino, una necessità che ha dato una firma interessante al prodotto. Inoltre, fra gli ingredienti, frumento, avena e arancia amara calabrese, per una birra dal colore giallo paglierino e torbida nell’aspetto, con sentori di frutta, fiori, miele, tiglio, agrumi, leggermente speziata. In bocca equilibrata, con una piacevole nota acida e un bel finale amaro e una nota di arancia. Arricriati ha un carattere difficile da circoscrivere in uno stile. Comunque avvicinabile ad una blanche, per le sue note agrumate e il carattere acido, oltre all’opalescenza. Una bevuta lunga e corroborante che non stanca. Ottima per la stagione primaverile alle porte.
Il prossimo passo dell’azienda potrebbe essere quella di fare il grande salto, forti dell’esperienza di Claudio Arena, homebrewer che sperimenta ormai da tempo nuove birre che un giorno potrebbero vedere la luce in un impianto di proprietà.
Noi aspettiamo quel giorno, con il bicchiere in mano.
Cheers!!!