Il segreto delle birre acide
Un passato storico per un approccio moderno

Articolo uscito il 3 marzo 2017 a firma di Giuseppe Salvatore Grosso Ciponte su Cronache delle Calabrie

Se il consumatore calabrese fa ancora fatica a dedicarsi ad un buon bicchiere di birra amara (leggasi IPA e parenti strette), le cose peggiorano drasticamente con le birre acide. Il nostro palato deve, come in tutte le cose, essere educato a sensazioni organolettiche nuove, lontane dal nostro quotidiano. Non è per masochismo che si deve trangugiare una birra del genere, quello che ci deve spingere è la curiosità di capire come mai queste bevande possano essere nate, anche quasi scomparse e poi ritornate in auge ai giorni nostri. Poi magari si scopre, ad un certo punto, che non se ne può più fare a meno o, comunque, si trova ogni tanto l’occasione per farsene un bel bicchiere.

Quando un intenditore sente parlare di birra acida il primo pensiero corre subito verso il Belgio, nel Pajottenland, a sud-ovest di Bruxelles. Regione associata al Lambic, su tutte, la birra acida per eccellenza, la capostipite delle bevute a basso pH. E anche qui, dietro ad una birra, tanta storia, arte e cultura: si pensi, ad esempio, ai due noti quadri di Bruegel, la Danza dei Contadini e il Banchetto di Nozze, dove sono raffigurati dei fiamminghi che godono della bontà di questa famosa birra servita nelle tipiche brocche di terracotta.

Ma ritorniamo alla curiosità che ci muove verso la bevuta di queste birre. Le domande che ci dovrebbero spingere sono del tipo “cosa ci si trova di tanto buono in una birra del genere da far nascere, un tempo, rivolte popolari ad ogni aumento del loro prezzo?”.

Il segreto è nella loro complessità, che un naso attento può scovare dietro la decisa nota selvaggia che hanno, partendo tutto da una fermentazione spontanea, tramite i lieviti presenti nell’aria, per poi proseguire con il lavorio in botti cariche di microorganismi che tanto danno in termini di profumi. I descrittori olfattivi sono fra i più disparati, e potremmo stare per ore ed ore a trovare nuovi sentori, dalla mela, miele, agrumato a volte, fino ad arrivare alla sella di cavallo, vinoso, carte da gioco vecchie (copyright questo di uno dei maggiori esperti di Lambic al mondo, Lorenzo “Kuaska” Dabove). Ma è per la loro forte caratterizzazione e per il fatto che ogni botte regala sempre prodotti diversi che il Lambic è utilizzato nella produzione della più armoniosa ed ‘elegante’ Geuse, blend di più Lambic di annate diverse.

Pajottenland come pretesto, per AIS Calabria, per una serata, all’Officina Pab di Locri, per parlare non solo di Lambic, ma di fermentazioni spontanee e miste in genere. Occasione per arrivare in Germania, patria, nell’immaginario collettivo, della bassa fermentazione, ma che ci regala due interessanti declinazioni acide di alta fermentazione: la Berliner Weisse e la Gose. La prima, birra di frumento con aggiunta di batteri lattici; la seconda, birra di frumento con sale, batteri lattici e coriandolo. Anche queste caratterizzate da note dissetanti che aiutano il consumatore a combattere la sete con un tocco di originalità. Ed essendo questo l’angolo degli spunti di riflessione, viene spontaneo citare anche le birre alla frutta, che con il loro bagaglio di lieviti che portano in dote, forniscono una deriva acidella alle birre nelle quali se ne fa uso.

Ma superata la sfida di farne almeno un sorso ed innamorarsene, forse, l’altra sfida consiste nel trovare, insieme ad Andrea Filocamo, gestore del locale, e Daniele Capogreco, lo chef, dei piatti che riescano a collaborare in bocca per un equilibrio e una piacevolezza di abbinamento. E allora… Quattro birre che dell’acido ne fanno, chi più e chi meno, il biglietto da visita: la Berliner Weisse di Canediguerra, la Kiss me Lipsia (Gose) del Birrificio Del Ducato, la Bersalis (ale in blend con lambic) di Oud Bressel e infine la Red Raspberry Rye di Buxton (berliner weisse al lampone).

E si parte, rispettivamente, nei quattro abbinamenti, con tartare verde con salsa guacamole ed erba cipollina, a seguire insalata di polipo patate, fagiolini e pomodorini con timo e lime, continuando con caciocavallo di Ciminà piastrato del presidio Slow Food della Locride (presentato da Alberto Belvedere) e semi di zucca tostati e, per finire, pancake allo zenzero con sciroppo di acero e fragole.

Che dire? Una serata che nessuno scorderà, nel bene o nel male. Fatto sta che gli abbinamenti cibo-birra, quasi tutti da manuale, hanno dato spunti interessanti di discussione.

Come sempre, quindi, il messaggio è lo stesso: qualunque cosa si mangi, qualunque cosa si beva, l’importante è mangiare bene e bere bene. Non farsi assalire dai pregiudizi e dalle prime impressioni, osare e darsi un’altra occasione. Tante sono ancora le birre da assaggiare, tante le esperienze sensoriali da fare.

Cheers!

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